Predicazione culto del 10 settembre 2017 – DANIELE P.
Numeri 6:22-27
22 Il SIGNORE disse ancora a Mosè: 23 «Parla ad Aaronne e ai suoi figli e di’ loro: “Voi benedirete così i figli d’Israele; direte loro: 24 «Il SIGNORE ti benedica e ti protegga! 25 Il
SIGNORE faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! 26 Il SIGNORE rivolga verso
di te il suo volto e ti dia la pace!»” 27 Così metteranno il mio nome sui figli d’Israele e io li
benedirò» (NRV)
Care sorelle e cari fratelli,
Il SIGNORE disse ancora a Mosè: «Parla ad Aaronne e ai suoi figli e di’ loro così:
“Voi benedirete così i figli d’Israele; direte loro… e poi segue appunto la benedizione sacerdotale di Aaronne”.
E un antichissima benedizione. Gli archeologi hanno ritrovato in delle grotte funerarie risalenti al 600 prima di Cristo due cilindri d’argento con dei rotoli di libri su cui fu incisa questa benedizione.
Questa benedizione ha accompagnato e accompagna il popolo del Signore da quasi 3000 anni.
Il culto ebraico, nella sinagoga, si conclude così. Gesù è stato benedetto così.
E Gesù ha benedetto così i bambini e, alla fine dell’evangelo di Luca, i discepoli:
Il SIGNORE ti benedica e ti protegga!
Il SIGNORE faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! Il SIGNORE rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!
I riformatori reintroducono questa benedizione nel culto cristiano.
La conosciamo bene. L’abbiamo sempre sentita. È diventata nostra. Appartiene a noi. E noi apparteniamo a lei. Siamo stati adottati da questa benedizione del popolo di Dio.
Care sorelle e fratelli apparteniamo al popolo di sacerdoti. Alla benedizione del sacerdozio universale dei credenti.
Alla fine del culto, il pastore o chi presiede alza le mani e benedice l’assemblea.
Certo, bisogna leggere bene la dizione di questa benedizione: non è il pastore, ma il Signore che benedice …Così metteranno il mio nome sui figli d’Israele e io li benedirò.
Il pastore – o chi presiede il culto- invoca la benedizione di Dio.
Biblicamente parlando, mette il nome di Dio sui figli d’Israele, cioè su ogni singola persona che costituisce insieme alle altre la benedetta assemblea.
Mettere il nome di Dio su di te. Incidere il nome di Dio su di te. Ha qualcosa di misterioso, qualcosa di un battesimo, qualcosa di arcaico, oserei dire di quasi magico.
Tre volte il nome di Dio. Tre volte mettere il
nome di Dio su di te. Alla fine di questo culto metterò tre volte il nome di Dio su di te.
Mettere, incidere il nome di Dio su di te. Così sarai portatore del nome di Dio.
Lo portiamo con noi. Lo porti con noi oggi uscendo da questo luogo.
Là dove andremo. Nel nostro mondo, nella tua città, nella tua casa.
Nelle nostre gioie e nei nostri dolori. Lo portiamo con noi. Alla tua gente. Ai tuoi cari. A chi incontri.
Vorrei farvi alcune domande:
1) Si accorgeranno che porti il nome di Dio?
2) Il nome di Dio ti starà scritto in faccia?
3) Come sarà scritto questo nome?
Forse e perché coloro che ci guarderanno vedranno il volto più sereno, più allegro, più simpatico – nel pieno senso della parola “simpatico” del partecipare simpaticamente – benedicente – alla vita altrui, cioè un volto – diremmo – più aperto?
Sì, forse è così che si nota nel nostro volto il nome di Dio, che siamo portatori del nome di Dio.
Ma, essendo portatore del nome di Dio, forse ci pesa anche portarlo. Il nome di Dio pesa.
Il suo splendore, la sua gloria, in ebraico è la “qabod “ che significa “peso”.
Essere un suo portatore potrebbe essere pesante e comportare anche una faccia stanca e sofferta.
Come quella di Caino quando stava per uccidere suo fratello.
Che comunque alla fine porterà anche il segno della grazia sulla fronte e, con lui, siamo tutti portatori e portatrici del segno indelebile della giustificazione per sola grazia sulla nostra fronte: nessuno lo tocchi.
Non si può meditare il proprio volto. Non si può meditare la propria faccia.
Sì, è stato inventato lo specchio. Ma cosa vuoi vedere nello specchio? Vediamo sempre solo quel che vogliamo vedere noi.
Nel bene e nel male care sorelle e fratelli, non scopriamo nulla di nuovo, anzi, impariamo solo a fingere e recitare.
Vediamo sempre solo noi stessi. L’apostolo Paolo lo riflette nel suo inno all’amore in
(I Corinzi 13,12): …”ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia”…
Non si può meditare il proprio volto. Non possiamo all’occasione mettere il sorriso del credente né tantomeno lo sguardo malinconico del religioso.
Vanità delle vanità, direbbe l’Ecclesiaste. E Gesù dice: ùngiti il capo e lavati la faccia
(Matteo 6,17).
Non si può meditare la propria faccia. Senza sfigurarla.
Ma si può meditare il volto altrui. Si può meditare la faccia dell’altro. Ci si può guardare in faccia.
Questo non lo facciamo spesso. Perché, per guardarsi in faccia, bisogna avvicinarsi. Avvicinarsi l’uno all’altro.
Da vicino molto si può leggere nel tuo volto, molto si può meditare nella tua faccia.
Certo, continuiamo a vedere quel che vogliamo vedere, forse quel che sapevamo già che avremmo visto.
Ma avviene qualche cosa in più. Soprattutto con quelle persone che ci sono vicine, che conosciamo da anni, che vediamo ogni giorno, che vivono con noi a faccia a faccia.
Non so se avete mai notato che certi coniugi, sposati da una infinità di anni o comunque legati da una intimità di cuore particolarmente intensa, si assomigliano.
Un volto riflette quello dell’altro. Una faccia risplende su quella dell’altro.
Forse è vero questo: la tua faccia è l’espressione delle facce che vedi spesso, quelle che mediti, in cui ti perdi.
Lo sguardo della gente di un paese è molto simile l’uno all’altro. A volte è proprio lo sguardo a caratterizzare le persone di un posto.
Se vivono insieme in vicinanza da tanti anni o comunque particolarmente uniti gli uni agli altri.
Se vivi in un posto dove tutti sono abituati a guardare male, pure tu, prima o poi, cambi espressione…
Se hai a che fare solo con facce ostili, anche la tua faccia avrà dei tratti ostili.
Se la tua gente è cattiva difficilmente non lo sarai anche tu.
Viceversa, le facce benevole che si sono rivolte a te per proteggerti
ed esserti propizie sono state, sono e saranno ancora e sempre la tua benedizione.
Sul nostro volto rifulge il volto della persona con cui viviamo. Siamo portatori del suo nome. Siamo molto meno noi stessi di quanto crediamo di esserlo.
Siamo molto più sacerdoti di quanto crediamo di esserlo.
Nella nostra faccia ci sono le facce delle persone che ci hanno guardato in faccia.
Nel tuo nome sono contenuti i nomi delle persone e delle storie della tua vita.
Da quando Dio ci ha guardato in faccia attraverso il volto di Gesù, dicendoci beati voi… siamo parte di questa sua benedizione.
Benedetti, beati noi. Ma noi chi?
Noi poveri? Noi afflitti?
Noi che non abbiamo nulla di beato, nulla di benedetto in noi?
Finché guardiamo solo noi stessi, finché non alzeremo la testa e guarderemo in faccia a chi ci rivolge la parola, ci rivolge vocazione, finché non ricordiamo nell’altro il volto e la voce di Gesù.
«Il SIGNORE ti benedica e ti protegga! Il SIGNORE faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! Il SIGNORE rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!»
Questa benedizione è una poesia. Parola che fa. Parola che crea. Parola che incide. Anche nell’argento.
Parola sempre attuale. In movimento. In azione. Il Signore non ci benedice soltanto, ma ci protegge anche.
La benedizione non resta parola, ma diventa
azione, protezione per noi.
Il Signore non fa soltanto risplendere il suo volto su di te, ma ti è veramente propizio, benevolo. Lo sguardo benevolo diventa vera benevolenza per te.
E quando il Signore ci guarda in faccia, non ci sorride solo, ma ci darà tutto quello di cui potremmo avere bisogno, perché nulla ci manchi: ecco la pace, lo shalom, il nulla manca.
Perché c’è lui. C’è il Signore. Tre volte il Signore. Sempre più vicino:
All’inizio benedice e protegge, ancora da una certa distanza.
Poi la luce del suo volto si avvicina e, infine, si rivolge direttamente a me a te, ci guarda in faccia. E dice tu sei con me in piena comunione.
Adesso possiamo tornare nella nostra vita concreta, andare a guardarci tre volte nello specchio: forse c’è quella pace, c’è lo shalom? No.
Forse c’è quella benevolenza, quella bontà, quella protezione, quella benedizione? No.
Forse c’è il volto del Signore? No,
C’è sempre la nostra faccia. Sempre la stessa faccia, ogni volta che la guardo, più vecchia e stanca, piena di rughe. Maledizione!
Vediamo guardandoci allo specchio sempre solo noi stessi. Ecco perché credo sempre che tutto mi manchi.
Basta fratelli e sorelle! Allora alziamo la testa per guardare l’altrui. Pensando a come il Signore ci guarda.
Ti guardo cara sorella o caro fratello pensando e ti benedico dicendo:
«Il SIGNORE ti benedica e ti protegga! Il SIGNORE faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! Il SIGNORE rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!».
Non pensiamo che questo non cambi niente. Non ritorniamo allo specchio. Non ricadiamo nella trappola del gioco degli specchi.
Se non distolgo lo sguardo da te, se non mollo il pensiero della benedizione nei tuoi confronti, prima o poi, avrò il coraggio di esprimerlo, di dirlo, di benedire.
Di invocare lo sguardo benevolo di Dio
dicendo a una persona con cui ci guardiamo in faccia, con cui si è creata una relazione:
«Il SIGNORE ti benedica e ti protegga! Il SIGNORE faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! Il SIGNORE rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!»
Proviamoci sorelle e fratelli. Vedremo, nulla sarà più come prima. Con quella persona inizia un nuovo percorso. Un portare il nome del Signore insieme.
Un portare la gloria di Dio, il peso del Signore insieme. Portate i pesi gli uni degli altri
e adempirete così la legge di Cristo (Gal 6,2).
Oggi ti sei ricordato che nella tua faccia si rispecchiano e si riflettono i volti delle persone che nel tempo hai guardato in faccia e che nel tuo nome sono contenuti i nomi delle persone e delle storie della tua vita.
Oggi siamo venuti in questo luogo, come dei sacerdoti, insieme, a guardare in faccia al nostro Signore Gesù Cristo.
E domani dove sei con chi sei, rivedi la faccia del Signore nel volto di chi ti chiama per nome e ti guarda in faccia.
Siamo stati benedetti. Ora questa parola lavora in noi. Falla lavorare, perché ci sta letteralmente trasformando in una benedizione per gli altri.
Tu ora va’ a benedire e a proteggere, a far risplendere il tuo volto e ad essere benevolo, a rivolgere il tuo volto verso il tuo fratello e la tua sorella.
Perché ci sia pace. Perché nulla gli manchi, nulla le manchi. In Cristo Gesù.
Amen.