Sermone del 27 agosto 2017. EMMANUELA B.
CULTO EVANGELICO BATTISTA
CHIESA VIA ELVO- TORINO, 27 agosto 2017
ESODO 1, 8 – 2,10
8 Allora sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe.
10 Quando il bambino fu cresciuto, lo portò dalla figlia del faraone; egli fu per lei come un figlio ed ella lo chiamò Mosè; «perché», disse: «io l’ho tirato fuori dalle acque».
MATTEO 16, 13-20
13 Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?» 14 Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti». 15 Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» 16 Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
17 Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E anch’io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’Ades non la potranno vincere. 19 Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai suoi discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo.
Premessa: sapete perché i bambini piangono quando, ad esempio, la mamma si allontana? Magari la mamma si reca soltanto in un’altra stanza, ma il bambino piange perché, in quel preciso momento, è convinto di non rivederla mai più. Poi, a poco a poco, crescendo, capisce che la mamma torna e ne è rassicurato, ma quelle prime paure in qualche modo ce le teniamo dentro. Dalla nascita usciamo dal rassicurante, protetto grembo materno per essere gettati in un mondo INSICURO.
Sapete perché anche molti adulti hanno paura del buio? Proprio perché il buio ci isola dal resto del mondo, tutto ci appare perduto, allontanato, separato, strappato da noi. Ognuno di noi è stato nel POZZO BUIO della solitudine e della sua lontananza. E ognuno di noi è stato messo sul CAMMINO dalla vita, un lungo cammino dal buio alla luce.
Oggi la Parola del Signore ci da lezione di INSICUREZZA .
-Dalla storia di Giuseppe a quella di Mosè. In entrambi l’esegesi cristologica ha visto la prefigurazione del Cristo che verrà. Giuseppe, tradito dai suoi stessi fratelli, gettato dentro una cisterna, un pozzo profondo e buio dove sprofondarono le sue ambizioni, i suoi progetti di vita, i suoi affetti…forse sentì perduta la sua giovinezza, spazzata via dall’invidia, dalla gelosia. Eppure Giuseppe è emblema del credente che non perde i suoi sogni, non perde la speranza nel Signore della salvezza.
E che dire di Mosè, abbandonato, se pur per forza, perché le condizioni lo richiedevano, ma pur sempre abbandonato dalla sua stessa famiglia? Mosè che perde la sua identità per acquistarne un’altra che il potere ha imposto. Sì, perché la sua identità di bambino ebreo non era ammessa dallo Stato, e per sopravvivere meglio rinnegarla: così deve aver pensato la stessa madre che lo ha generato. Mosè chiamato da Dio a una missione che gli chiede nuovamente di cambiare identità: non più uomo ‘qualunque’ che aspira a un matrimonio tranquillo con Sefora, a diventare padre, ad accudire alle bestie del suocero Ietro…ma Mosè profeta di Dio. Mosè portato a nuova vita e rinnovato nella nuova vita in Dio.Umani entrambi, Giuseppe e Mosè ed entrambi provati dalla vita da prove dure, ai limiti della sopportazione. Eppure entrambi benedetti, entrambi espressioni di fede, della sua forza di speranza. Entrambi che videro le loro esistenze rivoluzionate.
Ma le Scritture ci propongono le loro storie in una successione anomala. Si passa dalle vicissitudine di Giuseppe e i suoi fratelli, che trovano rifugio in Egitto, scampando alla carestia (oggi si direbbe che si trattava di migrazione economica, dettata dalla povertà, dalle condizioni economiche) a quella di Mosè neonato, adottato dalla figlia del faraone: L’Egitto era passato da paese amico a paese ostile. I profughi ebrei che, grazie alla carriera che Giuseppe era riuscito a fare, erano stati accolti con i favori dello stato egiziano, ora era ridotti in schiavitù perché nel frattempo si erano integrati così bene nella società egiziana da costituire un pericolo. Il loro contributo alla ricchezza del Paese, resa evidente dall’abilità di Giuseppe, li aveva resi troppo potenti agli occhi di un potere che si riteneva assoluto e temeva di venire oscurato dagli ebrei che sì erano ormai egiziani a tutti gli effetti (erano trascorsi molti anni e alla generazione dell’esodo ne erano seguite altre già nate in terra egiziana) ma non aderivano all’ideologia dominante, al dio-faraone, alla religione di Stato, erano un corpo estraneo alla cultura egiziana. La storia non ha un percorso lineare, non è proiettata sempre in avanti. Si può tornare indietro.
Non c’è sicurezza…l’umanità è alla ricerca di qualcosa che, in fondo, non esiste, è un miraggio irraggiungibile e forse il Signore ci dice che è ora di prenderne atto e di vedere tutto questo secondo un altro punto di vista. Quello di Dio. Le nostre vite sono continuamente esposte a imprevisti, sconvolte, cambiate dagli eventi. Da quando nasciamo nessun giorno è mai uguale a un altro e tanti, tantissimi sono i progetti che dobbiamo modificare perché si sono create situazioni nuove. E tutte le volte ci stupiamo, a volte, quando si tratta di situazioni che non ci piacciono, ci arrabbiamo. Vorremmo una vita programmabile che riusciamo a tenere sotto controllo, a organizzare a tavolino. Ma non è così e ringraziamo il Signore che non sia così. Giuseppe, il prediletto del padre Giacobbe, era convinto di essere il numero uno, protetto e coccolato…ma non aveva messo in conto che nel mondo esiste, a partire dai propri familiari, la gelosia e non aveva messo in conto che i figli disamati sono quelli che sentono il bisogno di sfogare la loro rabbia, la loro frustrazione sui più deboli. E Giuseppe era il più debole, il più fragile, molto più di quanto lui stesso pensasse. Era solo. Pensava di potercela fare da solo. Pensava di essere destinato a un futuro luminoso e così è stato. Peccato che quel futuro non poteva passare attraverso l’odio, odio che involontariamente lui stesso aveva generato.Peccato che di quel futuro luminoso non era il padrone, ma il servo. Imparò a servire Giuseppe, imparò ad essere servo dei fratelli affamati, del padre sofferente…di un paese che lo aveva reso prigioniero, ma che gli diede anche la possibilità di riemergere dalle sue ceneri. La strada che porta al futuro è un a strada insicura.
Andare a lezione di insicurezza, forse – chissà – proprio di questo ha bisogno l’uomo. Ogni pietra d’inciampo come occasione per rivedere quei piani presuntuosi che ogni volta ci mettiamo in testa. Cediamo al fatalismo? Cediamo in questo modo a un’idea di destino a cui restare passivi e inermi? No, non furono inermi Giuseppe, Mosè, non furono inermi i profeti del Signore. Agirono, si misero in gioco, sbagliarono, si corressero. Se vogliamo un esempio vicino a noi, eccolo: Mandela diceva: io non so che cosa sia la sconfitta, perché o vinco o imparo. Eppure Mandela è stato una vita in carcere prima che si realizzasse il suo sogno di sconfiggere l’apartheid!
Se ci trasferiamo dal piano della storia personale a quella della storia collettiva, dei popoli, degli Stati, il discorso non è molto diverso. Le persone cambiano e anche i popoli e anche le nazioni e i loro programmi politici. Popoli amici possono diventare nemici, le ‘grandi potenze’ di un’epoca possono diventare Stati marginali in un’altra epoca….nulla è immutabile e tutto, assolutamente tutto è in trasformazione, anche l’ambiente, la natura, i pianeti…Ci vengono le vertigini a pensare quanto davvero nulla è ‘sicuro’ e quanto, invece, tutto possa essere sconvolto. Ma tutto ciò non ci deve dare un senso di incertezza, di instabilità, di smarrimento.
Incertezza, instabilità e smarrimento possono averle coloro che su questa precarietà vogliono costruire le loro vite, le loro ricchezze. E allora cercano protezione dal denaro, dalle mafie, dalle lobbies..ma non i credenti nel Signore. Quando Gesù si rivolge ai suoi discepoli chiedendo loro: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?» (ed essi risposero Giovanni il Battista, Elia, Geremia o uno dei profeti) e poi la stessa domanda la rivolge proprio a loro, ai discepoli («E voi, chi dite che io sia?»), sta a significare che noi non dobbiamo pensare ‘come la gente’, ma come Lui, avendo Lui come nostro riferimento. Noi non dobbiamo omologarci al pensiero dominante, a quello che ai nostri giorni va sotto il termine del ‘politicamente corretto’, di mainstream ( i grandi media, giornali e televisioni, che trasmettono quasi una voce unica, un’unica lettura del mondo). Noi non possiamo seguire le mode del momento, quello che ‘fa tendenza’: Gesù dice: la gente pensa questo…ma voi che cosa pensate? Su facebook si dice questo…ma voi che pensate? Ci chiede un anticonformismo capace di andare contro le credenze più diffuse…ci chiede un atto di coraggio, di andare contro corrente, di non temere nel distinguerci. E’ più comodo, più, sicuro, allinearci, fare quel che fan tutti, pensare quello che tutti pensano… Nella confessione di fede di Simon Pietro ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’, non c’è alcun timore a non dire, a non aderire, a non seguire quello che dice la gente.
Nella totale ‘insicurezza’ del mondo, noi possiamo essere ‘certi’ che il Signore opera per la nostra salvezza, la nostra libertà dalle paure. Possiamo essere certi che non c’è pozzo profondo e buio dal quale non è possibile uscire credendo nel sogno di liberazione che ci ha messo nei cuori; che non c’è terra promessa che sia irraggiungibile; che non esistono popoli schiavi destinati alla schiavitù, bensì popoli itineranti alla ricerca della felicità; che i re, i sovrani, i governanti del mondo oggi ci sono e sembrano invincibili, domani vengono distrutti, “non sono che menzogna – come dice il salmista (62:9), messi sulla bilancia vanno su, tutti insieme son più leggeri della vanità” ed è perciò che non dobbiamo aver fiducia nella violenza e non mettere speranza nella rapina.
Ecco, su quante certezze possiamo contare in questo mondo così instabile, precario, esso sì smarrito! Sull’instabilità del mondo, dei regni e dell’orrore, dei poteri che seminano terrore…nulla può essere costruito che non abbia una durata altrettanto breve. Ma sulla forte rocca di Dio sì che possiamo dare radici solide alle nostre vite. Tutto passerà, ma quelle radici niente e nessuno possa strapparle.
Considerazione finale: siamo partiti dalle due immagini della paura e concludiamo con il sorriso di questa bambina siriana. E’ in cammino, forse cammina ancora, forse ha trovato riparo, lei e la sua famiglia in una terra che dia loro speranza. Sicuramente qui è immortalata dal fotografo in un momento di pace, di grande serenità. Sospesa tra il passato, di fatica, di incertezza, e un futuro altrettanto incerto. Ma lei è lì, in mezzo, come tutti noi, in fondo, ma è piena di gioia ed è questa gioia, dono di Dio, che dobbiamo serbare salda e incorruttibile in noi. In questa bimba ognuno di noi può rispecchiarsi. Non perdiamo questa immagine, questi occhi, questo sorriso. Preghiamo perché non si spenga in noi. Preghiamo che non si spenga mai in lei. Questo dev’essere davvero molto, molto simile, al sorriso di Dio.