Sermone del culto 30 luglio 2017. Emmanuela B.
CHIESA EVANGELICA BATTISTATorino-via Elvo – 30 luglio 2017
Genesi 24
1 Or Abraamo era diventato vecchio, d’età avanzata, e il SIGNORE lo aveva benedetto in ogni cosa.
2 Abraamo disse al più anziano dei servi di casa sua, che aveva il governo di tutti i suoi beni: «Metti la tua mano sotto la mia coscia 3 e io ti farò giurare per il SIGNORE, il Dio dei cieli e il Dio della terra, che tu non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei in mezzo ai quali abito; 4 ma andrai al mio paese, dai miei parenti, e vi prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco». 5 Il servo gli rispose: «Forse quella donna non vorrà seguirmi in questo paese; dovrò allora ricondurre tuo figlio nel paese dal quale tu sei uscito?» 6 Abraamo gli disse: «Guàrdati dal far tornare là mio figlio! 7 Il SIGNORE, il Dio dei cieli, che mi fece uscire dalla casa di mio padre e dal mio paese natale – e mi parlò e mi giurò dicendo: “Io darò alla tua discendenza questo paese” – egli stesso manderà il suo angelo davanti a te e tu prenderai di là una moglie per mio figlio
57 Allora dissero: «Chiamiamo la fanciulla e sentiamo lei stessa». 58 Chiamarono Rebecca e le dissero: «Vuoi andare con quest’uomo?» Ed ella rispose: «Sì, andrò». 59 Così lasciarono andare Rebecca, loro sorella, e la sua nutrice con il servo d’Abraamo e la sua gente. 60 Benedissero Rebecca e le dissero: «Sorella nostra, possa tu divenire migliaia di miriadi e possa la tua discendenza impadronirsi delle città dei suoi nemici!» 61 Rebecca si levò con le sue serve, montarono sui cammelli e seguirono quell’uomo. Il servo prese Rebecca e se ne andò.
62 Isacco era tornato dal pozzo di Lacai-Roi e abitava nella regione meridionale. 63 Isacco era uscito, sul far della sera, per meditare nella campagna; e, alzando gli occhi, guardò, e vide venire dei cammelli. 64 Anche Rebecca alzò gli occhi, vide Isacco, saltò giù dal cammello, 65 e disse al servo: «Chi è quell’uomo che viene per la campagna incontro a noi?» Il servo rispose: «È il mio signore». Ed ella, preso il velo, si coprì. 66 Il servo raccontò a Isacco tutto quello che aveva fatto. 67 E Isacco condusse Rebecca nella tenda di Sara sua madre, la prese, ed ella divenne sua moglie, ed egli l’amò. Così Isacco fu consolato dopo la morte di sua madre.
Matteo 11,16-19. 28-30
16 Ma a chi paragonerò questa generazione? È simile ai bambini seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni e dicono: 17 “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto”. 18 Difatti è venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “Ha un demonio!” 19 È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori!” Ma la sapienza è stata giustificata dalle sue opere».
28 Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. 29 Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; 30 poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».
Spunti meditazione
Che cosa facciamo quando siamo arrabbiati? Quanto male riusciamo a fare a noi stessi e agli altri quando parliamo o agiamo sotto l’effetto della rabbia? La rabbia è uno dei tratti distintivi del nostro tempo. In questo tempo di rabbia (rabbia per il lavoro che non c’è, per la casa che non c’è…per una politica che si sente troppo lontana dai cittadini, per uno Stato vissuto come nemico e non come l’istituzione rappresentativa di una società alla quale sentiamo di appartenere…) in cui la rabbia spesso esplode perché le persone non trovano i canali giusti per metabolizzarla, come fosse un ordigno per disinnescare la sua violenza in modo che quella rabbia si trasformi in una volontà sana di cambiamento, ecco, in questo tempo di rabbia in cui tutti si guardano in cagnesco…in questo tempo di guerra di tutti contro tutti…noi cristiani davvero possiamo testimoniare, con le nostre vite personali e con le nostre comunità, che il Signore con noi è rinascita, è spirito rinnovatore, è quella forza che ci rende liberi dai nemici…che prima di tutto abbiamo dentro noi stessi.
I giovani, soprattutto, sono oggi esposti a quella rabbia che, incapace di tramutarsi in PROPOSTA DI VITA ALTERNATIVA, porta all’impotenza, implode o esplode, senza dare frutto. I giovani, soprattutto, che amano i messaggi ‘chiari e forti’, netti, sono esposti al fanatismo, all’intolleranza…perché sono arrabbiati e non trovano una via d’uscita.
Ma noi, cristiani, credenti nel Signore possiamo indicare sì qual è la VIA D’USCITA. Ma allora dobbiamo rispondere alla domanda: di quale fede vogliamo essere testimoni di fronte alle future generazioni? Una fede che voglia realizzare una ‘reggia dorata’, in piccole o grandi comunità o, addirittura, singolarmente, nella vita personale…un isolamento da resto del mondo che ‘ci fa star male’. Oppure una fede combattente, forte della propria identità e soprattutto forte nel dare ‘indicazioni’ molto precise, eticamente prescrittive? Dove da una parte ci sono i ‘puri’, gli ‘eletti’, i ‘fedeli’ e dall’altra? Gli impuri, i miscredenti, gli infedeli?
-E’ in questo solco che si pone il dilemma delle generazioni: patto o rottura? Continuità o trasformazione? Se Dio ci ha lasciato, e ci ha lasciato, una grande eredità a chi la lasceremo? Quando Gesù guarda le generazioni del suo tempo, contro chi si scaglia? Contro l’ipocrisia degli scribi e dei farisei, contro una religione e una chiesa fatte per definire un’identità, contro le malelingue, la diffidenza, il giudizio facile che si basa solo sulle apparenze…
Quando Gesù guarda le generazioni del suo tempo vede tanti ‘moralisti’ pronti a colpire col dito indice chiunque abbia un comportamento secondo loro non conforme all’ ‘etichetta’, politicamente scorretto…Quando Gesù guarda le generazioni del suo tempo si scaglia contro una visione della fede come punizione e auto-punizione: il credente è colui che si mortifica continuamente perché si sente continuamente inadeguato, continuamente nel peccato…alla ricerca di una perfezione irraggiungibile finisce come il protagonista del Mago di Lublino di Singer che ossessionato dai suoi peccati si chiude in una stanza dove trascorrere il resto della sua vita a leggere le Scritture fino al punto da essere considerato un santo per gli abitanti del suo villaggio. Che avrebbe detto Gesù? E’ un santo chi si isola, si chiude in se stesso, rompe ogni legame famigliare, di amicizia, si sottrae a ogni tipo di tentazione? No, Gesù non ha invitato a tutto questo…e neppure le Scritture ebraiche su cui lui stesso predicava. La fede non è esercizio di stile, non è esercizio di perfezionamento, non ci impone una corsa ad ostacoli dove dobbiamo arrivare primi.
L’intero capitolo 24 narra di questa storia che altro non è che una lunga, profonda, confessione di fede. E la struttura del libro della Genesi ha proprio come filo conduttore ‘tol dot’, le generazioni. La formula è ricorrente in tutte le narrazione che, a partire da un patriarca, ne segue la discendenza: la storia di Noè e della sua famiglia, poi quella di Abramo dal padre Terach, poi la storia di Giacobbe e di Esaù dal padre Isacco, la storia di Giacobbe e di Giuseppe e i suoi fratelli…dalla chiamata di un solo uomo, Abramo il programma di Dio si estende a un popolo, a una nazione, a una moltitudine di nazioni. Il problema è : chi sarà erede della promessa che Dio fa al primo dei credenti? Se non c’è discendenza quella promessa resta lettera morta. Se non c’è un susseguirsi di generazioni non c’è storia, non c’è storia di un popolo chiamato a vocazione. Tutta la storia di Abramo si concentra su questa preoccupazione. E più volte noi vediamo quest’uomo coraggioso, capace di rompere con il passato, con la sua famiglia, la sua terra, per andare verso un luogo sconosciuto seguendo la voce di Dio, lo vediamo ormai anziano, temere che quella promessa possa restare incompiuta.L’erede, lo sappiamo, è Isacco.
Che darò a mio figlio? Che cosa diamo ai nostri figli se non la promessa di benedizione di Dio? Chi darà continuità alla missione che Gesù ci ha lasciati? Il nocciolo del problema è sempre lo stesso. Perché sempre ha a che fare con l’antica promessa, con l’antico patto suggellato in Cristo! Alle vecchie generazioni il compito, da sempre, di dare ai propri figli la possibilità di un futuro di benedizione, non di macerie, un domani migliore di ieri, non peggiore…Nella storia di Genesi 24 non c’è Dio, o meglio non c’è il suo braccio disteso e la sua mano potente che dividerà le acque del mare…non c’è la teofania del roveto ardente né la colonna di fuoco che guida nel deserto…non ci sono guarigioni e miracoli né insegnamento che Gesù, rabbi e maestro, predicò itineranti fuori e dentro i templi, in spazi aperti…no: ci sono uomini e donne, pieni di ansie, di dubbi, di attese…C’è il vecchio Abramo che consegna il destino di suo figlio non a uno di famiglia o a un precettore (anche se al tempo non esisteva questa figura) comunque qualcuno di ‘importante’, di un certo rango…no, consegna il destino di suo figlio al suo servo, al domestico..all’uomo tutto-fare che gli aggiustava la cisterna del pozzo… (che sappiamo dal capitolo 15 essere Eli’ézer). E che cosa fa? Prega. Non fa altro che pregare per tutto il tragitto ovvero ‘si mette in comunicazione’ con il Signore…ed è tutta una narrazione imperniata sulla fiducia, innanzitutto che Dio risponda. Fiducia che significa, nei rapporti umani, disponibilità a crederci…Eli’ézer crede in quella fanciulla che dà da bere a lui e ai cammelli, Labano, il fratello di Rebecca, e Betuel suo padre,credono alle parole di Eli’ézer che venutosi da lontano niente di meno chiede di portarsi via Rebecca perché diventi moglie di Isacco. Ma soprattutto ci crede Rebecca perché è lei ad avere l’ultima parola. Questa non è storia di matrimonio combinato, di sposa-bambina. Rebecca risponde alla sua famiglia: sì vado…E ci crede Isacco. E’ bellissima la scena del loro incontro, quando entrambi alzano gli occhi e si vedono nel senso di riconoscersi…e si piacciono. Sono tutte persone che ‘ci hanno creduto’. SE lo slogan di Obama fu ‘yes, we can’, il nostro non è tanto ‘yes, we can’ perché, in realtà, possiamo ben poco senza di Lui, piuttosto ‘yes, we believe’, noi siamo quelli che credono.
Qui il Signore appare attraverso uomini e donne che ‘ci credono’. Qui il Signore appare attraverso le loro angosce e le loro paure e si fa presente nel coraggio di Eli’ézier, di Labano, di Betuel… di Rebecca che ha il coraggio di ‘andare’. Qui il Signore si fa presente nel loro coraggio ad avere fiducia: no, questo sconosciuto, quest’uomo che viene da lontano a portarmi la buona notizia…non mi frega. Fiducia verso il progetto di Dio che si traduce in fiducia verso l’altro che mi racconta che è qui davanti a me, ha raggiunto la mia casa, è alla mia porta perché vuole portarmi un messaggio dal Signore. Non lo conosco, non l’ho mai visto…ma mi racconta di Lui, anzi Lui si è fatto presente in quest’uomo che mi è davanti. Noi crediamo con la stessa intensità, con la stessa convinzione, con lo stesso coraggio di rischiare? Oppure stiamo seduti nelle piazze e balliamo al suono di qualche pifferaio? Come nascerà l’uomo nuovo, il mondo nuovo se non improntato a legami di fiducia reciproca. Non può dominare la diffidenza, il pregiudizio…fosse stato così Rebecca non sarebbe mai partita!
E allora noi che crediamo in una fede, che partendo dalle sue radici ebraiche che non vanno mai dimenticate o tanto meno rinnegate come ci ricorda l’apostolo Paolo, è una fede così aperta, aperta alle relazioni umane, aperta al futuro, aperta quindi ai cambiamenti…come facciamo a presentarla, a comunicarla in modo spesso contrito, a darne testimonianza disperante? Il giogo leggero di Gesù non significa che la sequela è facile e il suo messaggio è come un lenitivo, un pannicello caldo sull’ umanità ferita. Non significa che l’impegno cristiano è essenzialmente ridotto al culto domenicale e a qualche preghiera. La Bibbia intera non fa altro che richiamarci ad una serie di obblighi, di doveri verso noi, verso gli altri, verso la società intera…siamo davvero chiamati al buon combattimento di Timoteo. Ma ci dice anche che non possiamo e non dobbiamo tormentarci in questo combattimento..altrimenti ritorniamo al Lutero insonne che s’arrovella sui suoi peccati e li trova radicali, insormontabili, invincibili…
Ma il Signore ci dice che il suo giogo è dolce, il suo carico è leggero. Perché è condiviso con Lui e tra di noi. Ci dice che la condizione umana è, di fatto, nella realtà delle cose, una condizione ibrida, fatta di contraddizioni, dove il buon seme sta insieme, si mescola, con la zizzania, dove i ‘puri’ non esistono e chi tenta di raggiungere la ‘purezza’ o è malato o un impostore. Ci dice –come ricordano i vecchi rabbini – che Dio, proprio Dio, ci chiederà conto di tutte le gioie che non abbiamo vissuto. D’altra parte Gesù, da buon ebreo, predicava «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Lc 11,47). Il peccato non è l’imperfezione, non è la debolezza, la fragilità della mia carne, del mio essere carne ed ossa che soffrono e s’infiacchiscono, ma è non avere lo sguardo di Rebecca, pronta a far parte del grande piano di Dio che non è mai un piano che schiaccia, umilia, aliena. Non stiamo sempre a pensare al ‘peccato’, alle nostre mancanze, alle nostre imperfezioni…altrimenti non metteremo in campo le nostre energie, le nostre possibilità. Noi siamo possibilità, siamo fatti di potenzialità che in gran parte restano inespresse …perché non li riconosciamo come doni che il Signore ci ha dato…perché non ci crediamo.
Gesù non ci chiede una vita di privazioni e costrizioni, ma una vita piena, risanata, libera dalle oppressioni. La nostra non è una fede punitiva, ma incoraggiante. Il credente ‘abbattuto’, ‘spento’, disperato è un credente che non potrà mai essere sale del mondo, luce per gli uomini. Perché non riesce ad essere sale e luce a se stesso. La nostra è la fede di Elizier, di Labano, di rebecca…la fede di coloro che hanno saputo dire: ci credo.: il coraggio di credere è il coraggio ad avere fiducia. Gesù ci esorta non a una fede punitiva, ma a una fede incoraggiante.