Domenica 28 maggio 2017
Il 27 maggio 1564 Giovanni Calvino moriva all’età di 54 anni logorato dalla malattia e dallo stress; gli anni trascorsi a Ginevra erano stati di forti tensioni a livello istituzionale, ideologico, politico. La città aveva conquistato la sua indipendenza liberandosi dal dominio dei Savoia, aveva superato la sua crisi economica con l’arrivo di una immigrazione qualificata dalla Francia e dall’Italia, da piccola cittadina era diventata uno dei centri di riferimento culturale europeo, contava ormai come Parigi e Roma nel continente. Questa sua nuova identità la doveva soltanto a lui e alla sua visione della società. Presentato generalmente come un autoritario fanatico che impose a Ginevra il suo dominio e le sue idee privandola della sua libertà ( autori privi di senso storico lo hanno paragonato ai dittatori del XX secolo) visse in città senza alcun potere. Ricevette la cittadinanza pochi anni prima della morte e fino a quel momento, volendo usare un esempio odierno, si dovrebbe dire visse con un permesso di soggiorno revocabile in qualsiasi momento. La sua autorità era di natura esclusivamente morale, nasceva dalla sua visione della realtà, dalla modernità delle sue analisi, dalla sua lettura dei fenomeni economici, dalla forte coscienza di responsabilità che si sforzò di far penetrare nella vita cittadina. Non esiste vita pubblica senza forte coscienza etica e morale, i magistrati, cioè chi ha responsabilità di governo non sta sopra il popolo ma davanti nell’esempio. Grande organizzatore con una visione moderna della nuova società europea. Le sue idee e le sue riflessioni formarono la cultura dei Paesi Bassi e dell’Inghilterra e di qui dell’America dei secoli successivi. Volle che non gli fossero riservate esequie, funerali di Stato, si direbbe oggi, ma venisse sepolto , come era allora prassi, nella fossa comune come tutti i ginevrini; è uno dei pochi personaggi europei di rilievo che non ha una tomba; né la città lo ha fatto oggetto di celebrazioni commemorative né la chiesa protestante che ha formato ne ha fatto un santo Come per Mosè, il grande traghettatore del popolo ebraico dalla schiavitù alla libertà, dall’ignoranza all’istruzione e dall’anarchia alla legge, anche per Calvino, indiscutibilmente il più instancabile legislatore religioso del protestantesimo, sarebbero valse le parole della Scrittura: «nessuno fino a oggi ha mai saputo dove è la sua tomba» (Deuteronomio 34,6). La sua sepoltura anonima non marca solamente la distanza con i luccicanti elementi decorativi in oro e nero del monumento tombale di S. Ignazio di Loyola, ma ne rappresenta la vicenda di profugo schivo e caparbio, disinteressato e antipatico, irriducibile ed incisivo sulla terra quanto interessato e proteso alla «vita migliore» del cielo. In virtù di questa sua consapevole provvisorietà biografica e spirituale di profugo, sebbene seppe incidere profondamente il profilo della cristianità europea, non volle lasciare alcuna riconoscibile dimora fissa alle proprie spoglie.